Una parola chiave del processo missionario è inculturazione.
Nel documento Redemptoris Missio, al numero 52, Papa Giovanni Paolo II riprende la definizione dell’Assemblea straordinaria del Sinodo del 1985 per definire l’inculturazione come «l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture». L’inculturazione si caratterizza dunque per un doppio movimento: da una parte un movimento dialogico diretto verso le culture, che passa per l’incarnazione del Vangelo e la trasmissione dei suoi valori; d’altra parte un movimento orientato verso la comunità ecclesiale che si traduce nell’introduzione al suo interno di valori presenti nella cultura che essa incontra. Si dà allora una fecondazione reciproca. Inculturazione è anche un processo umano prima ancora che cristiano di trasmissione e accoglienza dei valori fondanti una comunità, un gruppo etnico.
Suor Toinha, prossima alla partenza per la terra africana, condivide la sua esperienza di inculturazione essendo lei brasiliana (dello Stato del Maranhao) e avendo vissuto alcuni anni in Uruguay.
“L’esperienza di inculturazione è la possibilità che si offre ad una persona di vivere ed entrare a contatto con una determinata cultura. Per la realizzazione di questa esperienza culturale è necessaria molta apertura di mente, usanze, abitudini, soprattutto del cuore; poi è necessaria molta forza e impegno per amare ciò che è differente, diverso. Molte volte in questo processo, amare il diverso provoca dolore e sofferenza, la sensazione è che nel profondo si va rompendo qualcosa. In un primo momento non sai cosa succede con te stessa.
Quindi iniziano le domande: quali sono le cose veramente importanti per me in questo processo di inculturazione? Quali sono le cose che devo assumere di questa nuova cultura? Cosa devo lasciare della mia cultura? … Da qui si inizia a percorrere un cammino che – per me- è di andata e ritorno, dare e ricevere, arricchire ed essere arricchita con i valori e la ricchezza di una cultura”.
Anche suor Margarita, colombiana, vive da qualche anno in Uruguay e condivide la sua esperienza di inculturazione con questo popolo, offrendoci una interessante riflessione.
Nella mia opzione personale per la vita religiosa credo che l’inculturazione è la costruzione della vita comunitaria quotidiana, la vita comune.
Credo che parte dell’inculturazione è la disposizione che una persona ha nel momento del cambio di cultura , tanto da un Paese ad un altro, così come per regioni, quartieri e comunità.
Il cambio della cultura da un Paese ad un altro mi ha permesso di cambiare: il modo di pensare , muovermi, parlare, sentire, mangiare, il modo di esprimere la fede. Sapendo che fa parte di me tuttavia qui in Uruguay assume un altro significato, per me è imparare nuovi significati che per gli uruguaiani sono comuni. Per esempio, i primi giorni in Uruguay, all’ora della colazione, quando mi chiedevano di andare a fare colazione io dicevo “un tintico (brodino) va bene”; un tinto in Uruguay significa vino, “un vino va bene”. Le sorelle tra le risa e lo stupore cercarono di comprendere in realtà ciò che chiedevo(forse pensavano che mi piaceva prendere vino al mattino!). Ugualmente i primi giorni le sorelle cucinavano zuppa per la mia colazione.
Per me, inculturazione significa rimanere aperta ai cambiamenti (per esempio il cibo che dalla sua preparazione e presentazione sono diversi e questo non significa uno è meglio dell’altro; così come il modo di pensare ed esprimere la fede). In Colombia la mia esperienza di fede era stata abbastanza strutturata e gerarchica, con questa nuova esperienza la fede è uscita da strutture elaborate ed è diventata diversa. Penso per esempio a un Dio più umano, vicino, e imparo a viverla con più semplicità.
L’ inculturazione è anche un doppio movimento che coinvolge in primo luogo le persone native del luogo, in quanto accolgono qualcuno diverso da loro e hanno l’opportunità di condividere con l’altro/a (straniero/a). Il secondo movimento da parte di chi arriva con la sua disponibilità a condividere tutto il suo essere così com’è, tutta la sua esperienza, i suoi valori, così come si dispone ad apprendere. Perché l’esperienza è nuova per entrambe le parti.
Credo che sia il processo dove, man mano che si va ottenendo la conoscenza della nuova cultura, vai poco a poco facendo parte di essa, impari a viverla, ad amarla e in qualche modo a difenderla. A mano a mano che passava il tempo e che andavo conoscendo, amando questo luogo con le sue differenze, mi integravo e sentivo di essere sempre più parte di essa. L’integrazione ovviamente si è costruita mentre mi inserivo nei diversi sistemi che fanno parte del Paese, per esempio nell’educazione, iniziando ad essere parte della vita liceale. Un altro esempio nel percorrere i quartieri di cui faccio parte così come far parte del sistema della Salute Pubblica.
Credo anche che l’inculturazione è realizzabile quando incontri la vita, la fede in comune, cammini, modi di pensare, sogni da vivere, carisma, che sono gli ideali che in qualche modo condividi, per esempio in questa realtà uruguaiana, conoscere il Carisma della Congregazione di cui faccio parte e che sento mi spinge e mi anima a camminare insieme alle sorelle uruguaiane e anche degli altri paesi. Sento che c’è in comune la vibrazione, l’ideale di vivere il Vangelo e che è ciò che permette che stiamo in continua apertura all’altro, all’altra.
Suor Margarita Sambony